Catalyst > “Il corsetto dell’imperatrice” recensione di Edoardo Rossi

Il Corsetto dell'Imperatrice

Giudizi oltre l’epoca

La regista Marie Kreutzer con “Il corsetto dell’imperatrice” ripropone un adattamento della storia di Elisabetta di Baviera, nota come “Sissi”, concentrandosi sugli avvenimenti che vedono la nostra protagonista, durante l’anno 1877, periodo in cui ricopre la carica d’imperatrice d’Austria.

La famiglia imperiale è composta, oltre che da Elisabetta, da: l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria (Florian Teichmeister), il figlio Rudolf (Aron Friesz) e la figlia Valerie; a convivere con l’imperatrice sono anche tre dame di compagnia, tra cui Marie Festetics (Katharina Lorenz), con cui l’imperatrice ha un legame molto forte, probabilmente unica persona assieme al figlio a comprenderla e accettarla nelle sue diversità.

Il 1877 è un anno cruciale sia fuori dal palazzo imperiale che dentro ed il film si concentrerà sulla situazione interna, partendo dal rapporto della coppia imperiale, sempre più disgiunta dopo la perdita della primogenita e un amore sempre meno vivo. Fino alla situazione con la figlia Valerie, distaccata, a differenza del fratello Rudolf dalla figura materna, se non addirittura spaventata e imbarazzata dai comportamenti fuori registro della madre.

L’imperatrice cercherà di fuggire dalle problematiche e le aspettative che la sua carica comportano, partendo prima per l’Inghilterra dalla sorella Elena di Wittelsbach, dove ritrova un suo vecchio amante e poi per la Germania alla tenuta del cugino e amante Ludwing II di Baviera (Manuel Rubey); visite che, nonostante non sfocino in veri rapporti sessuali, non fanno altro che infittire i sospetti dell’opinione pubblica sulla figura di Elisabetta. I problemi famigliari e il soffocamento che l’imperatrice prova, si protrarranno peggiorando sempre di più, fino al finale che non lascia equivoci, che differisce dalla consueta storia di “Sissi”, con l’intento di lasciare un segno non tanto a livello narrativo, quanto a livello di pensiero.

La volontà di Marie Kreutzer è chiara fin da subito, portare i disagi di una donna a rapportarsi con le pretese e le aspettative della società al grande pubblico, la decisione di farlo attraverso la figura dell’imperatrice Austro-Ungarica Elisabetta, al di là dell’oggettivo fascino cinematografico della stessa, non è altro che un mezzo per mettere in pratica l’ideale. La situazione della protagonista rappresenta ed estremizza il senso di frustrazione e soffocamento provocato da giudizi e aspettative che la società; anche attuale, rivolge alle donne. La regista lo farà attraverso il severo occhio della corte imperiale, che niente lascia passare e la vita di una donna tormentata dai giudizi di chi ha attorno, ma soprattutto con scene perfette che riescono a riassumere con eleganza i sopracitati disagi, presenti tutt’oggi.

La regista riesce a ricreare un’ambientazione, seppur non fedelissima, molto credibile e lo spettatore viene immerso senza accusare il distacco temporale nel film, per poterne capire la critica e soprattutto percepire la sensazione di disagio provata dalla protagonista. Questa viene in particolare trasmessa tramite alcune scene: dalla più metaforica dove l’imperatrice, chiusa in una stanza del palazzo, viene sopraffatta dal soffitto che sembra, letteralmente, schiacciarla; alla più esplicita, dove la figlia Valerie si congratula con la stessa del discorso tenuto durante una cerimonia, affermando che è stata l’occasione dove il suo portamento la ha più colpita, senza sapere che sotto il velo da cerimonia, non c’era la madre bensì la dama da compagnia Marie: in questa scena viene reso ancora più evidente come alle persone basti l’apparenza, ma soprattutto che l’apparenza rispecchi le loro aspettative e come, ciò che davvero si cela dietro di essa, non importi più, proprio come Valerie, che, nonostante il sospetto che sotto il velo non ci sia la madre, accetta ciò che vede, perché rispecchia la visione della madre che vorrebbe.

Il film nel complesso pecca leggermente in forza narrativa, talvolta ridondante, finisce per perdersi su se stessa e il ritmo della pellicola ne risente, ma che, al di là dei difetti già citati, mi ha deluso da un punto di vista emotivo, infatti, il film porta a riflessioni interessanti ma non mi ha dato un grande impatto sentimentale; a parte questo l’idea di base e la messa in scena sono più che apprezzabili. Personalmente ho trovato il film una buona visione, che ispira lo spettatore e fa riflettere su tematiche mai scontate e che in definitiva è una visione sicuramente consigliata.

Recensione a cura di Edoardo Rossi