Catalyst > Gli spiriti dell’isola recensione di Edoardo Rossi

Gli spiriti dell'isola

Tanto surreale da diventare reale

Gli spiriti dell’isola film diretto da Martin McDonagh è una commedia drammatica che punta tramite la sua crudezza, talvolta estremizzata, a far percepire allo spettatore la situazione desolante dell’Irlanda del 1923, infatti sull’isola irlandese (immaginaria) di Inisherin, dove il film è ambientato, la guerra, sembra non arrivare solo apparentemente.

Pàdraic (Colin Farrel) e Colm (Brendan Gleeson), sono due abitanti dell’isola di Inisherin, il primo un umile mandriano e il secondo violinista e compositore, che ogni giorno alle due si trovano nel pub dell’isola per bere qualche pinta di birra insieme. Un giorno però, senza preavviso, Colm decide di non seguire l’amico al pub, dicendo all’altro che non gli va più a genio, definendo l’ormai vecchio amico come noioso e incapace di sostenere le argomentazioni dello stesso. La vicenda si sviluppa con Pàdraic che fatica ad accettare l’improvviso allontanamento dell’amico e con Colm che invece respingerà sempre più fermamente l’altro, tanto da arrivare ad auto mutilarsi tagliandosi un dito per ogni volta che Pàdraic gli rivolgerà la parola.

Saranno inutili i tentativi della sorella di Pàdraic, Siobhàn (Kerry Kondon) nel dissuadere lo stesso a evitare Colm e il loro conflitto si protrarrà fino a un escalation finale di violenta vendetta, che mostra tristemente le condizioni dei due protagonisti.

“Gli spiriti dell’isola” ci fornisce un verosimile spaccato della società irlandese del 1923, evitando di parlare della guerra civile tra il governo provvisorio d’Irlanda (pro-trattato anglo-irlandese) e l’Irish Republican Army (IRA) (anti trattato), semplicemente mostrandola, ma rendendola ancora più vera, riassumendone la brutalità e la natura quasi infantile tramite il conflitto metaforico tra Pàdraic e Colm. I due infatti si trovano a rivaleggiare improvvisamente dopo anni di amicizia, così come gli stessi irlandesi che avevano lottato insieme per raggiungere l’indipendenza dall’ Irlanda a distanza di pochi anni si trovano a combattere gli uni contro gli altri.

Il tutto raccontato tramite un film preciso che fa percepire allo spettatore, attraverso i tempi dilatati e le storie dei nostri protagonisti, l’isolamento e la noia che implica una vita su un’isola che sembra esistere ferma nel tempo e quasi totalmente distaccata dal resto del mondo. Tra gli abitanti dell’isola oltre che i due protagonisti abbiamo infatti: Domenic (Barry Keoghan), considerato da tutti lo “scemo” dell’isola, ma che in realtà è solo un ragazzo fragile che deve convivere con un padre che ne abusa e Siobhàn, sorella di Pàdraic, che non riesce a trovare un compagno perché etichettata come “diversa”, entrambi costretti a fuggire in qualche modo da Inisherin e la sua chiusura, il primo suicidandosi nel gelido lago dell’isola e la seconda accettando un posto di lavoro in biblioteca sulla terraferma.

E poi abbiamo i due nostri protagonisti che più di tutti riescano a incarnare la condizione di noia e insoddisfazione che la vita ad Inisherin provoca, con Colm che desidera in tutti i modi un’esistenza più significativa cercando di comporre una canzone che verrà ricordata in futuro e Pàdraic che più semplicemente desidera solo la compagnia di un amico e la gentilezza delle persone.

Martin McDonagh è riuscito a raccontarci la sua opinione sulla stupidità dei conflitti e gli effetti della noia, con un bel film, dimostrando di saper sfruttare al meglio le ambientazioni irlandesi costruendoci sopra una commedia a tinte grottesche, talmente disperata da portare alla risata. Ma soprattutto, ci ha regalato un film che, nel bene o nel male, lascia inevitabilmente qualcosa allo spettatore.

Recensione a cura di Edoardo Rossi