Catalyst > “Grazie Ragazzi” recensione di Edoardo Rossi

Grazie Ragazzi

"Aspettando Godot" oltre le sbarre

“Grazie Ragazzi” (2023) – film diretto da Riccardo Milani, ispiratosi al film francese “Un triomphe” di Emmanuel Courcol a sua volta tratto dalla storia vera dello svedese Jon Jonson – è una commedia semplice e divertente con la volontà di dire la sua sul sociale, oltre che a far divertire, in parte riuscendoci.

Il nostro protagonista è Antonio Cerami (Antonio Albanese), ex attore di teatro, reduce da un matrimonio fallito, ormai ridotto al doppiaggio di film porno per poter arrivare a fine mese, finché a presentargli l’opportunità di risalire su di un palco è l’amico (ed ex collega attore) Michele (Fabrizio Bentivoglio), che gli proporrà di tenere delle lezioni di teatro al penitenziario di Velletri con esibizione finale.

Antonio, dopo qualche incertezza iniziale, accetta la proposta e inizierà quindi a tenere le prime lezioni ad un gruppo di detenuti che hanno deciso di aderire al progetto; il gruppo è composto da: Mignolo (Giorgio Montanini), irruento e sopra le righe; Aziz ( Giacomo Ferrara) nato a Tripoli, emigrato e cresciuto con la madre in Italia; Damiano (Andrea Lattanzi) balbuziente e semi analfabeta; Radu (Bogdan Iordachioiy) e solo inizialmente da Christian (Gerard Kolomei) poi sostituito da Diego (Vinicio Marchioni) rispettato e temuto da tutti all’interno del carcere. Le lezioni procedono da subito senza troppi problemi e la prima esibizione tenuta all’interno del carcere, pur essendo una riproduzione della favola della lepre e la tartaruga, ottiene un discreto successo.

Tanto da portare Antonio a voler mettere in scena “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, puntando tutto sulla sincerità dei suoi attori che, meglio di chiunque altro, possono portare sul palco la sensazione di un’attesa vana. Il nostro protagonista e i suoi attori riusciranno – con l’aiuto di Laura (Sonia Bergamasco) la direttrice penitenziaria, inizialmente scettica ma poi sempre più partecipe, e dell’amico Michele – a portare un vero e proprio spettacolo in un vero teatro, riscuotendo enorme successo, che li porterà successivamente a calcare i migliori palchi d’Italia fino a finire nel teatro per eccellenza, il Teatro Argentina di Roma.

La forza del film è sicuramente riconducibile al funzionamento del gruppo di detenuti che compongono la compagnia teatrale; ognuno dei personaggi, seppur non eccessivamente caratterizzato, permetterà allo spettatore di appassionarsi e immedesimarsi in loro: ognuno dei detenuti infatti nasconde un lato pronto a venir fuori una volta salito sul palco, come ad esempio Damiano che, essendo balbuziente, ha difficoltà a parlare nella vita quotidiana ma che sembra non avere troppe difficoltà durante la recitazione.

Oltre al gruppo di detenuti ho apprezzato alcune scene come quella dove i nostri protagonisti provano il copione in piena notte seppur separati dalle sbarre delle celle, urlandolo a voce alta. Questo momento fa capire allo spettatore quanto per questi ragazzi sia diventato importante il teatro e la voglia di riscatto sociale che li sprona a provarci, ma ho trovato ancora più interessante il parallelismo tra l’opera “Aspettando Godot” e la vita dei carcerati e forse più genericamente delle vite di tutti noi, che aspettiamo spesso invano una persona o un’occasione, con la perenne paura di sprecare il nostro tempo, per citare il testo originale dell’opera come è stato fatto in più riprese anche durante il film: “Ho forse dormito mentre gli altri soffrivano? Sto forse dormendo in questo momento? Domani, quando mi sembrerà di svegliarmi, che dirò di questa giornata? Che col mio amico Estragone, in questo luogo, fino al calar della notte, ho aspettato Godot?”.

Si cerca anche di toccare il tema dell’isolamento sociale provocato dal carcere, come nelle scene del ritorno degli attori al penitenziario, dove li attende una perquisizione, dopo ogni tappa dei loro spettacoli, che vieta l’ingresso degli oggetti “esterni” al carcere e che metaforicamente riesce a far capire allo spettatore il distacco che si crea tra i detenuti che aspettano e la vita fuori dal carcere che va avanti.

Sicuramente dobbiamo tener conto che questo film è comunque il rifacimento di uno già esistente, perciò seppur toccando temi interessanti è da valutare quanta farina sia uscita dal sacco di Riccardo Milani e quanta da quello di Emmanuel Courcol. Sul finale il film, secondo il mio parere, si perde un po’, infatti non ho apprezzato il dialogo finale di Antonio tenuto sul palco del Teatro Argentina, che ho trovato troppo esplicito e ridondante, dato che va a servire allo spettatore una chiave di lettura che avrei preferito restasse implicita.

Detto ciò, il film resta una visione godibile, senza troppe pretese, lineare e semplice, ma comunque una visione consigliata per chi vuole divertirsi ed emozionarsi per un’ora e cinquantasette minuti.

 

Recensione a cura di Edoardo Rossi