Catalyst > “La nave dolce” recensione di Giulia Monastra

Il 'racconto necessario' della nave Vlora e di tutti gli altri viaggi

Il 'racconto necessario' della nave Vlora e di tutti gli altri viaggi

“La nave dolce” è la nave Vlora che l’8 agosto 1991 salpò da Durazzo per arrivare fino a Bari. Ma è anche il “racconto necessario” – lo definisce la regista Daniela Nicosia – del viaggio in mare di migliaia albanesi, del loro sbarco sulle coste pugliesi e dei giorni di reclusione nello stadio della città. La Vlora, nave per il trasporto di zucchero, si presentò quell’8 agosto sulle coste albanesi come la prima breccia nella chiusura dei confini nazionali e come prima opportunità di fuga per una popolazione in piena guerra civile. È così che nel giro di poche ore, chi ci riuscì – ben in ventimila arrivati da Durazzo e dalle città vicine – si precipitò sulla nave con la speranza di raggiungere la sognata Italia.

A raccontarci la storia è l’attore barese Massimiliano Di Corato. Alle sue spalle, la scena si apre con una scenografia essenziale: una corda ed un gancio della Vlora. E un seggiolone, forse da spiaggia, dal quale Di Corato riesce subito a riempire lo spazio del palco con la sua gestualità e corporeità. Si “sdoppia” infatti abilmente fra un ragazzo albanese e uno pugliese, imitandone il parlare italo-albanese e italo-pugliese. In più canta, grida e riproduce i suoni della nave e delle onde. Tutto inizia dalla testimonianza del ragazzo albanese, salito sulla nave insieme ad alcuni amici. Una nave che pende da un lato, è storta, tante sono le persone a bordo, ma che restano durante la traversata in un innaturale ed emozionato silenzio. Poi c’è l’arrivo a Brindisi e poi al porto di Bari, dove gli albanesi vengono finalmente fatti sbarcare. L’emozione e la gioia sono immensi: lo racconta il ragazzo barese che dal porto vede gli arrivati ridere e li sente gridare “Italia! Italia! Italia!”. É la realizzazione del loro sogno di libertà. Anche il sindaco Enrico Dalfino è lì pronto ad accoglierli.

Gli elicotteri calano sulla folla i primi viveri che si personificano a teatro in bottiglie di plastica cadute dall’alto del palcoscenico: con queste finalmente, gli albanesi, dopo una traversata durata ore, riescono a bere. Il sogno si tramuta improvvisamente in incubo. Il ragazzo albanese e il fiume umano appena salpati, vengono improvvisamente caricati su degli autobus che li trasportano allo Stadio della Vittoria, all’interno del quale – non lo sanno ancora – trascorreranno ben otto giorni di reclusione. Sono queste le disposizioni del Ministero italiano, che ha imposto il loro rimpatrio.

Allo stadio gli albanesi sono stipati, senza servizi igienici, senza acqua e con pochi viveri lanciati dagli elicotteri: si tratta di qualche panino, che i “cattivi” fra loro, cercano, facendo scudo al centro dello stadio, di accaparrarsi tutti per sé. “Sporchi noi! E sporchi gli italiani!” grida il ragazzo albanese ad un certo punto: “gli albanesi erano sporchi perché non potevano lavarsi, e il governo italiano si macchiava della scelta di recluderli”.

“La nave dolce” nasce dalla raccolta, fatta da Daniela Nicosia, di testimonianze di alcuni albanesi che sono stati sulla Vlora – tremila dei ventimila rimasero sul territorio italiano e tanti altri sono arrivati negli ultimi trent’anni – e prende spunto dall’omonimo film di Daniele Vicari, del 2012. È l’omaggio a quegli albanesi migranti, ma anche all’accoglienza del popolo barese e del loro sindaco. “Sono persone! sono persone!”, continuava a sostenere Dalfino in quei duri giorni. Lo spettacolo, costruito ora con le voci dei due ragazzi, ora con le grida della folla, (fa tutto il bravissimo Di Corato) ci lascia un po’angosciati: il pensiero va immediato ai morti di oggi nel Mediterraneo. Alla fine dello spettacolo viene proiettato sul fondo la foto della Vlora: si vedono una nave mercatile grigia ed una massa colorata di persone a bordo, a terra, mentre si cala dalle funi. Uomini e donne alla disperata ricerca della libertà.


Recensione a cura di Giulia Monastra